Permesso di lungo periodo e assenze prolungate: il TAR Friuli Venezia Giulia esclude automatismi e rafforza il principio di proporzionalità di Kaoutar Badrane

Pubblicato il 4 dicembre 2025 alle ore 07:20

La sentenza n. 382/2025 del TAR Friuli Venezia Giulia restituisce una fotografia nitida di come il diritto dell’immigrazione debba essere interpretato alla luce delle situazioni personali e dei principi fondamentali dell’ordinamento.

Il caso esaminato riguarda un uomo radicato in Italia da oltre vent’anni, titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, che si era assentato dal territorio dell’Unione tra il 2017 e il 2019 per affrontare un percorso sanitario complesso nel proprio Paese d’origine. A fronte della semplice richiesta di aggiornamento del permesso, la Questura aveva invece proceduto alla revoca del titolo, limitandosi a rilevare che l’assenza aveva superato i dodici mesi.

Questa impostazione, fondata su una lettura rigidamente letterale dell’art. 9, comma 7, lett. d), del Testo Unico Immigrazione, aveva portato l’amministrazione a considerare irrilevanti le giustificazioni prodotte, omettendo di valutare la documentazione clinica che spiegava la necessità dell’allontanamento. L’idea di fondo era quella di un automatismo: una volta superata la soglia dei dodici mesi fuori dall’Unione Europea, la revoca sarebbe obbligatoria, senza alcun margine di apprezzamento.

Il TAR, richiamando l’orientamento ormai consolidato inaugurato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 10222/2024, ha invece affermato il principio opposto: nessuna revoca può essere considerata “automatica” quando l’amministrazione non abbia valutato le ragioni personali dell’assenza. Lo stesso art. 9, lettura complessiva alla mano, dimostra che il legislatore ha riconosciuto la rilevanza delle assenze determinate da gravi motivi di salute, prevedendo che tali periodi non interrompano nemmeno il percorso di acquisizione del titolo di lungo periodo. Se il legislatore tutela queste assenze prima del rilascio, è evidente che la medesima tutela debba valere anche dopo, quando si discute della conservazione del titolo.

La sentenza sottolinea quindi un principio semplice ma decisivo: la vita di una persona non può essere ridotta al dato cronologico di un’assenza. Dietro ogni allontanamento vi è una storia umana, un contesto, talvolta una fragilità. E tra le situazioni che richiedono la massima attenzione vi sono proprio le condizioni di salute, che l’ordinamento italiano considera un diritto fondamentale protetto dall’art. 32 della Costituzione.

La mancata valutazione della documentazione medica – come rilevato dai giudici – non è una semplice irregolarità procedurale, ma un vero e proprio deficit istruttorio che rende il provvedimento illegittimo. Una decisione così grave come la revoca del permesso di lungo periodo, che incide sulla stabilità familiare, lavorativa e sociale dello straniero, non può essere adottata senza un’istruttoria completa, proporzionata e rispettosa della dignità della persona.

Il TAR ricorda inoltre che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rappresenta il massimo livello di stabilità riconosciuto allo straniero, e per questo richiede un approccio attento, capace di evitare soluzioni punitive e prive di proporzionalità. Nel caso esaminato, la persona viveva in Italia dal 2001, con un radicamento profondo e consolidato. La revoca del titolo, adottata senza alcuna considerazione della sua storia e delle sue condizioni cliniche, avrebbe prodotto effetti sproporzionati e irragionevoli.

La decisione è dunque un’importante riaffermazione della centralità dell’individuo nel diritto dell’immigrazione. È un invito alle amministrazioni a evitare automatismi, a considerare la persona prima del dato formale, e a ricordare che il sistema giuridico italiano possiede già gli strumenti per garantire risposte eque, umane e coerenti con i valori costituzionali.

In un’epoca in cui le traiettorie migratorie sono sempre più legate a condizioni sanitarie, familiari e sociali complesse, questa sentenza ricorda che un diritto dell’immigrazione sensibile e ragionevole non è solo possibile, ma necessario.

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