Concorrenza, autonomie e concessioni demaniali marittime: la sentenza n. 89/2025 della Corte Costituzionale tra vincoli europei e limiti regionali

Pubblicato il 3 luglio 2025 alle ore 09:03

La sentenza della Corte Costituzionale n. 89 del 01.07.2025 offre l’occasione per tornare sul nodo della disciplina delle concessioni demaniali marittime in rapporto alla distribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni.

La Corte costituzionale riafferma la centralità della tutela della concorrenza quale competenza esclusiva statale, escludendo ogni possibilità di supplenza normativa da parte delle Regioni, anche in caso di inerzia del legislatore statale.

Il presente contributo analizza i profili costituzionali e amministrativi della decisione, aprendo interrogativi sulle conseguenze per gli atti amministrativi pregressi e sull’assetto futuro della materia.

Premessa: l’ennesimo capitolo della saga delle concessioni balneari

La questione della regolazione delle concessioni demaniali marittime, soprattutto per finalità turistico-ricreative, è da anni terreno di conflitto tra livelli di governo, giurisprudenza costituzionale e vincoli sovranazionali.

Dopo la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 17 del 2021 e la legge n. 118 del 2022 (rimasta inattuata), il legislatore regionale toscano è intervenuto nel 2024 con la legge n. 30/2024, nel dichiarato intento di “colmare il vuoto” normativo.

Tale intervento, tuttavia, è stato impugnato dal Governo e dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 89/2025 della Corte costituzionale, che merita attenzione per le implicazioni generali che presenta.

Il contenuto della legge toscana n. 30/2024 e l’oggetto della pronuncia

La legge impugnata aveva modificato la legge regionale n. 31/2016: arricchendo il preambolo di richiami ai principi europei e alla giurisprudenza amministrativa (art. 1), introducendo criteri premiali a favore delle micro, piccole e medie imprese (art. 2, co. 3), disciplinando l’indennizzo a favore del concessionario uscente (art. 2, co. 4), affidando alla Giunta regionale il potere di definire, mediante linee guida, criteri applicativi (art. 3). Secondo la Regione, tali disposizioni avevano carattere “provvisorio” e cedevole rispetto all’auspicato intervento statale, richiamando il principio della c.d. “cedevolezza invertita”.

La decisione della Corte: violazione dell’art. 117, co. 2, lett. e), Cost.

La Corte ha accolto le censure del Governo, ribadendo la propria giurisprudenza costante: la disciplina dei criteri e delle modalità di affidamento delle concessioni demaniali marittime attiene alla tutela della concorrenza e rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato; anche in caso di vuoto normativo, le Regioni non possono intervenire con legge in una materia sottratta alla loro competenza.

La Corte, richiamando le sentenze nn. 1/2019, 222/2020 e 161/2020, nega la legittimità della supplenza regionale, ribadendo che la “cedevolezza invertita” può operare solo nelle materie di competenza concorrente, non in quelle riservate in via esclusiva allo Stato.

Gli effetti sugli atti adottati sulla base della normativa incostituzionale

Di rilievo è anche la parte in cui la Corte esclude la cessazione della materia del contendere: le norme impugnate hanno trovato applicazione concreta, come dimostrato dall’avvio di procedure selettive sulla loro base.

Ne deriva che la dichiarazione di incostituzionalità colpisce anche gli atti amministrativi adottati in forza delle disposizioni caducate; tali atti non vengono automaticamente annullati, ma potranno essere oggetto di disapplicazione, impugnazione o riesame in autotutela.

Viceversa, gli atti adottati prima della legge regionale n. 30/2024 – in attuazione della legge n. 31/2016 nella sua versione originaria – non risulterebbero automaticamente inficiati, salvo profili specifici di illegittimità.

Una pronuncia coerente, ma che lascia aperti nodi sistemici

La sentenza si inserisce in un solco giurisprudenziale consolidato, e rafforza il principio per cui la disciplina delle concessioni demaniali marittime non può essere frammentata a livello territoriale senza compromettere la concorrenza e l’uniformità di trattamento degli operatori economici.

Tuttavia, la Corte non affronta il problema di fondo: in assenza di una disciplina statale tempestiva (ad oggi il decreto intermisteriale cd “indennizzi” che dovrebbe completare l’iter della legge 166/2024 non è ancora stato emanato), come possono operare concretamente le amministrazioni locali chiamate a gestire il prossimo rilascio delle concessioni?

Il richiamo della Corte ai principi standardizzati dalla giurisprudenza amministrativo (in primis il decisum dell’Adunanza Plenaria del 2021) non pare sufficiente nè dirimente.

Il rischio è che, nel giusto presupposto della legittimità costituzionale, venga penalizzata la funzionalità dell’azione amministrativa, alimentando ulteriori incertezze e contenziosi.

Conclusioni: la necessità di un riordino statale organico

La sentenza n. 89/2025 rappresenta una pronuncia di sistema, che chiarisce i limiti invalicabili dell’autonomia normativa regionale.

Ma non è risolutiva.

Senza un intervento legislativo statale organico, che armonizzi il diritto interno con la direttiva servizi (cd Bolkenstain) e definisca i criteri di affidamento e di indennizzo, il settore continuerà a essere esposto a instabilità normativa, contenziosi e incertezze per gli operatori.

La lezione, ancora una volta, è che l’inerzia legislativa statale non può essere surrogata dall’iniziativa regionale, ma nemmeno tollerata all’infinito in un settore strategico per l’economia costiera italiana.

Avv. Stefania Frandi

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