COMMENTO ALLA SENTENZA N. 485/2025 IN MATERIA DI APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI E DELITTO DI PECULATO

Pubblicato il 5 luglio 2025 alle ore 08:49

SUL DELITTO DI PECULATO 

Il delitto di peculato, previsto e punito ex art 314 c.p., è il fatto commesso dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio che, possedendo o avendo a disposizione denaro o altra cosa altrui, se ne appropria, con ciò ricavando un indebito profitto. 

Detto delitto è ascrivibile nel novero dei reati propri non esclusivi, potendo essere concretamente commesso anche da un estraneo alla P.A. in accordo con i soggetti pubblici indicati. 

Il presupposto della condotta è il possesso o la disponibilità della cosa che non necessariamente, tuttavia, deve appartenere alla P.A.. 

Di fatti, con la nuova formulazione normativa, è stata superata la distinzione tra delitto di peculato (nell’ipotesi di appropriazione di beni appartenenti alla P.A.) e delitto di malversazione di beni di proprietà di privati. 

In relazione al presupposto del possesso, questo deve intendersi quale il potere di fatto sul bene, direttamente collegato ai poteri e ai doveri funzionali dell'incarico ricoperto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio. L'affiancamento poi della disponibilità, chiarisce che anche la possibilità di disporre della cosa (a prescindere dalla materiale detenzione) è idonea ad integrare, sussistenti gli altri elementi, il reato in esame. 

Trattasi, dunque, di reato di mera condotta in cui viene punita l'appropriazione, intesa come il comportarsi uti dominus nei confronti del denaro o della cosa mobile posseduti. 

SULLISTITUTO DELLAPPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI 

L’art. 444 c.p.p. disciplina l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti. 

Più in particolare, in relazione a particolari tipi di reato per i quali la legge stabilisce l’applicazione della sanzione pecuniaria, sola o congiunta a quella detentiva per un massimo non superiore a 5 anni, il legislatore ha previsto che l’imputato o il Pubblico Ministero possano concordare una pena applicabile, al fine di consentire – all’imputato – uno sconto di pena pari ad 1/3 rispetto al minimo edittale e – alla macchina della giustizia – di evitare il dispendio di denaro ed energie per la coltivazione di un procedimento penale. 

La ratio della norma, infatti, risponde ad esigenze di snellimento e velocizzazione dei processi penali. Il patteggiamento permette, infatti, una chiusura anticipata del processo in forza dell’accordo tra imputato e pubblico ministero, già nella fase dell’udienza preliminare o anche delle indagini, dal momento che l’imputato volontariamente si sottomette alla sanzione penale, senza che vengano effettuate ulteriori indagini, ma ottenendo in cambio una serie di vantaggi, tra cui la diminuzione fino ad un terzo della pena in concreto applicata. 

IL CASO CONCRETO 

Con la sentenza in commento, la VI sezione penale della Cassazione è tornata a pronunciarsi in ordine ai requisiti necessari ai fini della applicabilità dell’istituto di cui all’art. 444 c.p.p. in relazione al delitto p.p. ex art 314 c.p. 

Specificatamente, in tema di patteggiamento nei reati contro la Pubblica Amministrazione, il rito speciale è applicabile previa integrale restituzione, da parte dell’intraneo, del prezzo o del profitto del reato, così 

come previsto ex art. 444, comma 1-ter cod. proc, pen., pena la inammissibilità del rito, trattandosi di ratifica di un accordo illegale, concluso in violazione di una norma processuale. 

La disposizione di cui all'art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen., è stata introdotta dalla legge n. 69 del 27 maggio 2015, e prevede la previa integrale restituzione del prezzo o del profitto dei reati quale condizione di ammissibilità della richiesta di applicazione di pena per determinate tipologie di reati contro la P.A., incluso quello cui all'art. 314 cod. pen. 

A sua volta, l’eventuale confisca del profitto o del denaro, di per sé non può sanare l’omessa ed integrale restituzione del profitto accumulato da parte dell’intraneus nella consumazione del reato, trattandosi, quest’ultima, di condizione di condizione di procedibilità e di liceità dell’applicazione della pena ex art 444 c.p.p. 

Confisca e restituzione, infatti, differiscono per gli effetti economici connessi ai due istituti, atteso che solo la confisca comporta il trasferimento coattivo dei valori oggetto del provvedimento ablativo in favore del patrimonio dello Stato; al contrario, la restituzione mira a ristabilire la parità tra i patrimoni dell’Ente e quello del reo. 

Allo stesso modo, l’eventuale sequestro di denaro o gli altri beni sottoposti a confisca in misura equivalente all'importo del profitto, di per sé non è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’istituto di cui all’art.444 c.p.p., proprio per la non equipollenza degli effetti della restituzione del profitto a quelli della confisca. 

Nel caso del peculato, infatti, la restituzione del profitto va operata nei confronti dell'ente pubblico danneggiato dall'indebita appropriazione, mentre il sequestro preventivo è funzionale all'adozione della confisca che comporta il trasferimento coattivo dei beni nel patrimonio dello Stato, e quindi non in favore dell'ente depauperato dal peculato. 

In questo senso, l’eventuale confisca disposta da parte dell’A.G. non può dirsi sanante rispetto alla omessa integrale e obbligatoria restituzione del profitto o del denaro derivante dalla consumazione dell’illecito da parte del reo e tanto in virtù del fatto che la restituzione del profitto consente di riequilibrare i patrimoni da un lato dell’Ente (illegittimamente depauperato) e, dall’altro, del reo (illegittimamente avvantaggiato). 

La confisca, ovvero il sequestro delle risultanze dell’illecito, invece, perseguono al diverso scopo di trasferire coattivamente i beni nel patrimonio dello Stato, non andando, invece, a ristorare l’Ente vittima dell’illecito. 

In definitiva, la restituzione del profitto o del prezzo del reato prevista dall'art. 444-comma 1-ter cod. proc. pen. va intesa come un atto dispositivo di carattere patrimoniale che dia conto della dismissione del vantaggio economico ottenuto dal reo, con la messa a disposizione della somma corrispondente al prezzo o al profitto del reato quale condizione processuale per poter accedere al rito del patteggiamento, affidando poi all'autorità giudiziaria la valutazione della destinazione da dare in concreto a tale offerta. 

L’eventuale ed omessa integrale restituzione del profitto o del denaro derivante dal reato (anche in ipotesi di previa confisca o sequestro preventivo dei beni per equivalente) impedisce, conseguentemente, di considerare legittima l’applicazione di pena ex 444 c.p.p. trattandosi – in quest’ultimo caso – di accordo illecito tra le parti, adottato in violazione di legge. 

Avv. Grazia Iorio 

 

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